美国作家丹·布朗的一部小说,2003年3月18日由兰登书屋出版,并以750万本的成绩打破美国小说销售记录,是有史以来最卖座的小说。小说集合了侦探,惊悚和阴谋论等多种风格,并激起了大众对某些宗教理论的普遍兴趣。

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Il capitano Bezu Fache camminava come un toro incollerito, con le spal-le dritte e il mento piantato nel petto. Aveva i capelli neri e lucidi, pettinati all'indietro, con un ciuffo centrale dall'attaccatura simile alla punta di una freccia, che divideva in due ben distinte parti la fronte sporgente e lo pre-cedeva come la prua di una nave da guerra. Mentre avanzava, i suoi occhi
scuri parevano scavare la terra davanti a lui e davano un'impressione di fe-rocia che corrispondeva alla sua fama di severità in ogni cosa.
Langdon seguì il capitano lungo la famosa scalinata di marmo che por-tava nell'atrio sotterraneo, sotto la piramide di vetro. Mentre scendevano, passarono accanto a due agenti della polizia giudiziaria armati di mitra-gliette. Il messaggio era chiaro: questa notte nessuno entra, nessuno esce senza il permesso del capitano Fache.
Scendendo sotto il livello del terreno, Langdon provò un crescente al-larme. La presenza di Fache era tutt'altro che rassicurante e il Louvre, a quell'ora della notte, aveva un aspetto sepolcrale. La scala, come quella di certi cinematografi, era illuminata da sottili strisce di luce incassate nell'al-zata dello scalino. Langdon sentiva i propri passi echeggiare sul vetro, in alto. Alzò gli occhi e vide svanire oltre il tetto trasparente qualche ricciolo di nebbia illuminata, proveniente dalle fontane.
«Lei approva?» chiese Fache, indicando col mento la piramide.
Langdon sospirò. Non aveva più voglia di giocare. «Sì, la vostra pirami-de è magnifica.»
Fache brontolò: «Una ferita sulla faccia di Parigi».
"Uno a zero." Langdon sentiva che il suo accompagnatore era un uomo difficile da accontentare. Si domandò se Fache sapesse che la piramide, per esplicita richiesta del presidente Mitterrand, era costituita di esattamente 666 lastre di vetro, una bizzarra richiesta che era ancora oggetto di discus-sione da parte degli appassionati di esoterismo, per i quali il 666 era il nu-mero della Bestia, ossia di Satana.
Langdon preferì lasciar perdere. A mano a mano che si inoltravano nel foyer sotterraneo, le sue superfici cominciarono a emergere dall'ombra. Costruito diciassette metri sotto il livello del suolo, il nuovo atrio del Lou-vre, settemila metri quadrati, si allungava come una grotta infinita. Con il suo marmo di un caldo color ocra intonato alla pietra color miele della fac-ciata sovrastante, la sala sotterranea era in genere piena di luce e di turisti. Quella notte, invece, l'atrio era spoglio e scuro e l'intero spazio dava un senso di gelo che richiamava alla mente l'atmosfera di una cripta.
«E gli agenti del servizio di sicurezza del museo?» chiese Langdon.
«En quarantaine» rispose Fache, in tono leggermente offeso, come se lo studioso avesse messo in dubbio l'integrità dei suoi uomini. «Ovviamente, questa sera è entrato qualcuno che non doveva entrare. Tutti i guardiani notturni sono stati riuniti in un'altra ala per essere interrogati. Saranno i miei agenti a occuparsi della sicurezza del museo per questa notte.»
Langdon annuì. Accelerò il passo per non allontanarsi da Fache.
«Conosceva bene Jacques Saunière?» chiese il capitano.
«In realtà non lo conoscevo affatto. Non l'ho mai incontrato.»
Fache fece la faccia sorpresa. «E il vostro primo incontro doveva avere luogo questa notte?»
«Sì. Ci eravamo dati appuntamento nella portineria dell'Università ame-ricana, alla fine della mia conferenza, ma lui non è venuto.»
Fache prese un appunto in un quadernetto. Mentre camminavano, Lan-gdon scorse anche la seconda, meno importante piramide del Louvre — la Pyramide Inversée — un enorme lucernario capovolto che scendeva dal soffitto come una stalattite, in una parte del mezzanino vicino a dove si trovavano loro. Fache salì alcuni scalini fino a una galleria dalla volta ad arco che portava la scritta: DENON. L'ala Denon era la più famosa delle tre principali sezioni del Louvre.
«Chi ha organizzato l'incontro di questa sera?» chiese all'improvviso Fa-che. «Lei o Saunière?»
La domanda era leggermente strana, date le abitudini del curatore del Louvre. «Il signor Saunière» rispose Langdon mentre entravano nella gal-leria. «La sua segretaria mi ha mandato un'e-mail qualche settimana fa. Ha detto che il curatore sapeva della conferenza e che voleva discutere alcuni particolari con me, mentre ero a Parigi.»
«Che particolari?»
«Non lo so. Qualcosa che riguardava l'arte, suppongo. Condividevamo alcuni interessi.»
Fache lo guardò con scetticismo. «Non ha idea dell'argomento dell'in-contro?»
Langdon non ne aveva idea. All'epoca, le parole di Saunière avevano de-stato la sua curiosità, ma non aveva voluto chiedere maggiori dettagli. Il famoso Jacques Saunière amava la privacy e concedeva pochissime udien-ze; Langdon considerava già un grande onore poterlo incontrare.
«Signor Langdon, può almeno fare un'ipotesi sull'argomento che la vit-tima poteva voler discutere con lei la notte in cui è stato ucciso? Potrebbe esserci d'aiuto.»
L'insistenza della domanda metteva a disagio lo studioso. «A dire il ve-ro, non saprei proprio. Non gliel'ho chiesto. Mi sentivo onorato di essere stato contattato da lui. Sono un ammiratore dell'opera di Saunière. Spesso uso i suoi testi nei miei corsi.»
Fache prese nota dell'informazione nel suo quadernetto.
I due uomini erano adesso a metà della galleria e Langdon cominciava a vedere le scale mobili alla fine, entrambe ferme.
«Dunque, lei condivideva alcuni interessi con Saunière?» chiese Fache.
«Sì. A dire il vero, ho impiegato gran parte dello scorso anno a scrivere la prima stesura di un libro che tratta del principale campo di studi di Sau-nière. Non vedevo l'ora di strizzargli il cervello.»
Fache rizzò di scatto la testa. «Pardon?»
Evidentemente si trattava di un'espressione troppo americana. «Non ve-devo l'ora di conoscere i suoi pensieri sull'argomento.»
«Capisco. E qual è l'argomento?»
Langdon ebbe un istante di esitazione; non sapeva come formulare la ri-sposta. «Essenzialmente, il mio manoscritto riguarda l'iconografia del culto della dea, il concetto di santità femminile e l'arte e i simboli a esso associa-ti.»
Fache si passò una mano fra i capelli. «E Saunière era un esperto sull'ar-gomento?»
«Il massimo esistente.»
«Capisco.»
Langdon aveva l'impressione che Fache non capisse affatto. Jacques Saunière era considerato il principale iconografo mondiale sulla dea. Non solo aveva una passione personale per tutti i reperti relativi a fertilità, culti della dea, la Wicca e il femminino sacro, ma nei vent'anni in cui era stato curatore del Louvre aveva anche accumulato nel museo la più grande col-lezione mondiale di oggetti artistici sulla dea: asce bipenni usate dalle sa-cerdotesse del più antico tempio di Delfi, caducei dorati, centinaia di ankh di Tjet che assomigliavano a piccoli angeli eretti, sonagli di sistro adopera-ti nell'antico Egitto per allontanare gli spiriti maligni e una stupefacente quantità di statuette raffiguranti Horo allattato dalla dea Iside.
«Che Jacques Saunière fosse a conoscenza del suo manoscritto?» sugge-rì Fache. «Potrebbe avere organizzato l'incontro per aiutarla in qualche punto del libro.»
Langdon scosse la testa. «A dire il vero, nessuno sa ancora nulla del mio manoscritto. È in prima stesura e l'ho fatto vedere soltanto al mio editor.»
Fache non disse nulla.
Langdon non aggiunse la ragione per cui non aveva mostrato il mano-scritto ad altri. Le sue trecento pagine — provvisoriamente intitolate Sim-boli della sacralità femminile perduta — proponevano alcune interpreta-zioni non convenzionali dell'iconografia religiosa corrente e avrebbero cer-
tamente suscitato molte polemiche.
Adesso, mentre si avvicinava alle scale mobili, si fermò perché si era ac-corto che Fache non era più con lui. Quando si voltò, vide che si era fer-mato a qualche metro di distanza, accanto a uno degli ascensori.
«Prendiamo l'ascensore» disse il capitano, mentre le porte scorrevoli si aprivano. «Come lei certamente sa, la galleria è piuttosto lontana, a piedi.»
Pur essendo consapevole che l'ascensore avrebbe abbreviato la salita fi-no all'ala Denon, Langdon non si mosse.
«Qualcosa non va?» chiese Fache, seccato, tenendo aperta la porta.
Langdon sospirò e guardò con desiderio la scala mobile. "È tutto a po-sto" mentì a se stesso, incamminandosi verso l'ascensore. Da bambino era caduto in un pozzo abbandonato e aveva rischiato di morire: per ore aveva continuato a tenersi a galla in quello stretto spazio prima che venissero a salvarlo. Da allora aveva la fobia dei luoghi chiusi: ascensori, metropo-litane, campi di squash. "L'ascensore è una macchina perfettamente sicura" si ripeté, ma un'altra voce nella sua mente protestava: "È una sottile scatola di latta dentro un pozzo!". Trattenendo il respiro, montò nell'ascensore e provò il consueto brivido di terrore quando le porte si chiusero.
"Pochi piani. Una decina di secondi."
«Lei e il signor Saunière» chiese Fache, quando l'ascensore si mosse «non vi siete mai parlati? Non vi siete mai scritti? Non vi siete mai spediti qualche oggetto?»
Un'altra domanda strana. Langdon scosse la testa. «No. Mai.»
Fache inclinò la testa come per prendere mentalmente nota del fatto. Senza più parlare, fissò davanti a sé un punto delle porte cromate.
Mentre salivano, Langdon cercò di pensare a qualcos'altro che non fos-sero le quattro pareti che lo circondavano. Riflesso sulla porta lucida del-l'ascensore, vide il fermacravatta del capitano: un crocifisso d'argento con incastonati tredici pezzi di onice nera. La cosa era vagamente sorprenden-te. La croce era nota come crux gemmata, un simbolo cristiano che si ri-feriva a Cristo e ai dodici apostoli. Langdon non si era aspettato che un ca-pitano di polizia ostentasse così apertamente la propria religione. Comun-que, erano in Francia e il cristianesimo non era una religione, quanto piut-tosto un di ritto di nascita.
«È una crux gemmata» disse all'improvviso Fache.
Sorpreso, Langdon alzò gli occhi e incrociò lo sguardo del capitano, ri-flesso sulla porta di metallo lucido.
L'ascensore si arrestò e la porta si aprì.
Langdon si affrettò a uscire nel corridoio, ansioso di raggiungere l'ampio spazio concesso dai famosi soffitti alti delle gallerie del Louvre. L'ambien-te in cui si trovò, però, non era quello che si aspettava.
Sorpreso, si bloccò.
Fache lo guardò. «A quanto pare, signor Langdon, lei non ha mai visto il Louvre dopo la chiusura.»
"Penso proprio di no" si disse lui, cercando di orientarsi. Di solito perfet-tamente illuminate, le gallerie del Louvre erano straordinariamente buie, quella notte. Invece della solita luce bianca e diffusa che scendeva dall'al-to, dalla base delle pareti si irradiava un chiarore rosso: intermittenti mac-chie di luce rossa che illuminavano le piastrelle del pavimento.
Spostando lo sguardo lungo il corridoio buio, Langdon comprese che a-vrebbe dovuto aspettarselo. Quasi tutte le principali gallerie d'arte impie-gavano di notte luci di servizio rosse, piazzate strategicamente a un livello basso, che permettevano ai membri del personale di percorrere i corridoi, ma che mantenevano i dipinti in una relativa oscurità per rallentare gli ef-fetti dell'esposizione dei pigmenti alla luce. Quella notte il museo aveva un aspetto quasi opprimente. Lunghe ombre lo attraversavano e i soffitti erano invisibili, nascosti in uno spazio incommensurabile, vuoto e buio.
«Da questa parte» disse Fache, dirigendosi a destra e passando per una serie di gallerie collegate tra loro.
Langdon lo seguì. La sua vista si abituò gradualmente al buio. Tutt'in-torno a lui, grandi quadri a olio cominciarono a materializzarsi come foto che si sviluppino in un'immensa camera oscura; i loro occhi lo seguirono mentre si muoveva da una sala all'altra. Sentiva il familiare odore dell'aria dei musei — un'essenza asciutta, deionizzata — prodotta dai deumidifica-tori industriali con filtro a carbone attivo che rimanevano accesi per tutto l'arco della giornata, in modo da eliminare la corrosiva anidride carbonica del respiro dei visitatori.
Montate in alto, sulle pareti, le telecamere della sicurezza trasmettevano un chiaro messaggio ai visitatori: "Ti vediamo. Non toccare niente".
«Qualcuna è vera?» chiese Langdon, indicandole.
Fache scosse la testa. «Naturalmente, no.»
La cosa non stupì lo studioso. La sorveglianza video, in musei di quella dimensione, non solo era proibitiva dal punto di vista economico, ma an-che inefficace. Con ettari di gallerie da sorvegliare, il Louvre avrebbe ri-chiesto centinaia di addetti soltanto per tenere d'occhio i monitor. Molti grandi musei adottano oggi una "sicurezza di contenimento": "Rinuncia a
tenere lontano i ladri. Chiudili dentro". Il "contenimento" entrava in fun-zione nelle ore di chiusura e se un intruso avesse portato via un'opera d'ar-te, le uscite di quel settore si sarebbero chiuse e il ladro si sarebbe trovato dietro le sbarre ancor prima che arrivasse la polizia.
Dal corridoio di marmo, davanti a loro, venivano alcune voci. Il rumore pareva giungere da un'ampia rientranza sulla destra. In quella zona, una forte luce illuminava il corridoio.
«L'ufficio del curatore» spiegò il capitano Fache.
Quando furono più vicini, Langdon vide in fondo a un'anticamera il lus-suoso studio di Saunière: pareti rivestite di legno, quadri di antichi maestri, un'enorme scrivania in stile su cui si scorgeva il modellino di un cavaliere in armatura, alto sessanta centimetri. Nella stanza c'erano diversi agenti di polizia, intenti a telefonare e a scrivere appunti. Uno sedeva alla scrivania di Saunière e inseriva dati in un computer portatile. A quanto pareva, l'uf-ficio privato del curatore era divenuto temporaneamente la centrale opera-tiva della polizia giudiziaria per quella notte.
«Messieurs» li chiamò Fache «ne nous dérangez pas sous aucun pré-texte. Entendu?»
All'interno dell'ufficio, tutti gli rivolsero un cenno d'assenso.
Langdon aveva appeso all'esterno delle sue camere d'albergo francesi un numero sufficiente di cartellini NE PAS DERANGER da capire l'ordine del capitano. Non dovevano essere disturbati per nessun motivo. Lascian-dosi alle spalle il gruppetto di agenti, Fache condusse Langdon ancora più avanti, lungo la galleria in penombra. Trenta metri più in là si apriva l'in-gresso alla più famosa sezione del Louvre — la Grande Galerie — un am-pio corridoio, apparentemente interminabile, che ospitava i più preziosi capolavori italiani. Langdon già sapeva che il corpo di Saunière era laggiù; anche nella polaroid, il famoso pavimento a parquet della Grande Galleria era inconfondibile.
Quando fu più vicino, Langdon vide che l'ingresso era bloccato da un'e-norme grata di ferro che assomigliava a quelle usate per tenere lontano dai castelli medievali gli eserciti nemici.
«Sicurezza di contenimento» disse Fache, indicando la grata.
Anche nella penombra, la barriera pareva in grado di resistere a un carro armato. Quando vi arrivò davanti, Langdon guardò attraverso le sbarre, cercando di distinguere qualcosa nella penombra della galleria.
«Dopo di lei, signor Langdon» disse Fache.
Lo studioso lo guardò senza capire. "Dopo di me, dove?"
Il capitano gli indicò il pavimento ai piedi della grata.
Langdon si chinò a guardare. Nella penombra non se n'era accorto. La barriera era sollevata di una sessantina di centimetri e lasciava aperto uno scomodo passaggio.
«Quest'area è ancora vietata alle guardie di sicurezza del Louvre» disse Fache. «La mia squadra della Police Technique et Scientifique ha appena finito il suoi rilievi.» Indicò l'apertura. «Per favore, passi sotto.»
Langdon osservò prima lo stretto spazio in basso e poi la pesante grata di ferro. "Certamente è uno scherzo!" Sembrava una ghigliottina pronta a piombare sugli intrusi per schiacciarli.
Fache brontolò alcune parole in francese e controllò l'orologio. Si mise in ginocchio e scivolò con tutta la sua massa sotto la grata. Giunto dall'al-tra parte, si guardò indietro attraverso le sbarre e fissò Langdon.
Lo studioso sospirò. Appoggiò le palme al pavimento lucido e si sdraiò sullo stomaco. Mentre passava, la giacca si agganciò al fondo della grata e lui batté la nuca contro il ferro. "Sta' calmo, Robert" pensò, mentre percor-reva, strisciando, l'ultimo tratto. Nell'alzarsi cominciò a sospettare che quella notte sarebbe stata assai più lunga del previsto. 第四章
贝祖·法希局长外表像一头发怒的公牛。他宽厚的肩膀向后倾,下巴向胸部伸得很厉害。他乌黑的头发向后梳得整整齐齐,油光可鉴,像战舰舰头一样的V形发尖与突出的前额隔开来,看起来更像是个箭头。往前走时,他黑色的眼睛似乎能把面前的地面烤焦。他眼里喷射出的火清澈透明,那种清澈使人感到他有一股干什么事都决不含糊的认真劲。
兰登跟随着局长沿着那个有名的楼梯往下走,进入深藏在金字塔下面的正厅。在他们往下走的过程中,他们从两个握有机枪的武装司法警察中间穿过。这传递的信息非常明了:没有法希局长的恩准,今夜谁也进不来,出不去。
下到地平面以下后,兰登就和不断袭来的惶恐作斗争。法希的存在一点也不受欢迎。此刻的卢浮宫本身似乎有种墓穴的气氛。楼梯像黑暗中的电影院通道一样,每迈一步都有反应灵敏的脚踏灯照亮。兰登能听到他自己的脚步声在头顶的玻璃上回响。朝上望去,他可以看到从喷泉散出的带着些许亮光的水雾正在透明房顶外散去。
“你赞成这种做法吗?”法希边问边用他宽大的下巴指向上方。
兰登叹了口气他太累了,不想演戏了。“你们的金字塔真宏伟。”
法希咕哝了一声,然后说:“巴黎脸上的一块疤。”
得罪了一位。作为客人的兰登感到他的主人不好取悦。他不明白法希是否知道,在密特朗总统明确要求下,这个金字塔正好由666块玻璃构成。这种奇怪的要求一直是喜欢研究阴谋事件的人们的一个热点话题。他们说666恰好是撒旦的代码。
兰登决定不提这事。
他们继续往下走,来到地下的正厅,一个宽大的空间渐渐从阴影中显露出来。卢浮宫新落成的70,000平方英尺的大厅建于地平面五十七英尺以下,就像一个向前无限延伸的大岩洞。地下大厅是用暖色的赭色大理石建成,以便和上面卢浮宫正面的蜜色石头相协调。这地下大厅从早到晚大都人声鼎沸。今夜则不然,大厅空无一人,漆黑一片,整个大厅笼罩在阴冷、墓穴般的气氛里。
“美术馆常规保安人员呢?”兰登问道。
“隔离起来了。”法希答道,听口气他好像认为兰登怀疑他手下人员的诚实。显然,今晚有不该进来的人进来了。卢浮宫所有的看守人员都有在萨利厅里接受询问。我的人已接管了卢浮宫今晚的安全守卫工作。
兰登点点头,快步跟上法希。
“你对雅克·索尼埃有多少了解?”局长问道。
“事实上,一点也不了解,我们从未见过面。”
法希显得非常吃惊。“你们的初次会面是在今晚?”
“是的。我们原计划在我作完报告后的巴黎美国大会举行的招待会上见面的,可他一直就没露面。”
法希在他的小本本上草草记下一些文字。他们继续往前走。这时兰登看到了卢浮宫那个名气稍小一些的金字塔——倒金字塔。它是一个巨大的倒置的天窗,好象钟乳石一样在楼面夹层处悬着。法希领着兰登走上一段楼梯,来到拱型隧道的洞口。洞口上方用大写字母写着德农两个字。德农厅是卢浮宫三个主区中最重要的一区。
“谁提出要今晚见面的?是你,还是他?”法希突然问道。
这个问题似乎有点怪。“是索尼埃先生。”兰登在进洞时回答道。“他的秘书几周前通过电子邮件和我取得联系。她说馆长听说我本月要来巴黎讲学,希望在我在巴黎期间和我讨论一些事情。”
“讨论什么?”
“我不知道。艺术,我想。我们有共同的兴趣。”
法希将信将疑。“你不知道你们见面后要谈写什么?”
兰登的确不知道。他当时有些好奇,但觉得问得过细不太合适。人们都有知道倍受尊敬的雅克·索尼埃喜欢深居简出的生活,很少答应和别人见面。兰登因这次见面的机会简直对他感激不尽。
“兰登先生,你能不能至少猜一猜我们这位受害者在被害的晚上想和你讨论些什么?这对我们可能有些帮助。”
这个直截了当的问题使兰登感觉很不自在。“我无法想象。我没问过。他和我联系,我倍感荣幸。我很欣赏索尼埃先生的作品。我上课选用他的文章。”
法希在本子上记下了这些。
二人此刻刚好处在通往德农厅的隧道的一半的路程上。兰登看到了尽头的一对向上的扶手电梯,但两个扶手梯都一动不动。
“你和他有共同的兴趣?”法希问。
“是的。事实上我去年花了许多时间写一部书的初稿。书中涉及索尼埃先生的主要专业领域。我期待着能够挖他的脑子。”
法希往上看了一眼。“对不起,我没听懂。“
这俗语显然没传达清楚意思。“我期待着在那方面向他请教。“
“我明白了。哪个方面?”
兰登犹豫了一下,拿不准该怎样确切地表达它。“书稿主要是关于女神崇拜的图像符号的 —— 一种女性崇拜的概念以及与其相关的艺术和象征符号。
法希把一只肥嘟嘟的手插进头发。“索尼埃在这方面很有学问?”
“没有谁比他更有学问。”
“我明白了。”
兰登认为法希一点也不明白。雅克·索尼埃被认为是全球有关女性崇拜图像符号学的第一专家。索尼埃不仅自己非常喜爱与生育、女神教派、巫术崇拜和圣女相关的文物,还帮助卢浮宫收集了全世界大量的女神艺术品 —— 从德尔菲古老的神殿中女祭司手中的拉布里斯斧头、金质的墨丘利魔杖、好几百只像站立的小天使似的饰有小圆环的T型器物,到古希腊用来驱鬼神用的叉铃,还有一大堆描述何鲁斯被女神伊希斯哺育的情景的小雕像,简直令人难以置信。
“或许雅克·索尼埃听说过你的书稿吧?法希说道。“他想约见你,为你写书提供帮助。”
兰登摇摇头。“事实上,没人知道我的书稿。现在还只是草稿,除了我的编辑处,我从未给人看过。”
法希不说话了。
兰登没有说明他未将手稿给任何人看的原因。这三百页的草稿题目初步定为圣女遗失的符号。它提出要对约定俗成的宗教符号学做出的非传统解析,这肯定会引起争议。
快到静止的扶手电梯时,兰登停了下来。他意识到法希已不再在他身边。转身回望,兰登发现法希站在几码远外的电梯旁。
“我们乘电梯,我相信你知道步行去大画廊挺远的。” 法希在电梯门打开时说道。
虽然兰登知道乘电梯去德农厅要比爬两层楼梯快得多,他还是站着没动。
“怎么啦?”法希按着门不让它关上,显得很不耐烦。
兰登喘了口气,充满期待地看了一眼上面的并不密封的扶手电梯。一切都好。他骗自己,慢吞吞地走回电梯。还是个孩子时,兰登掉进了一个废弃的深井里,他在那狭窄的空间踩水好几个小时后才获救,差点死在那里。打那以后,他就对封闭的空间,如电梯、地铁、壁式网球场等充满恐惧。电梯是极安全的机器。兰登反复这样告诫自己,却一点也不相信它安全。它是个悬在封闭的筒子中的小小的金属盒子!他屏住呼吸,走进电梯。当电梯关上时,他心中感到一阵颤栗,这颤栗以前也感受过。
两层楼。十秒钟。
电梯开动时法希说:“你和索尼埃先生,你们从未说过话吗?从未通信?有没有互相寄过邮件什么的?”
又是一个古怪的问题。兰登摇摇头。“没有。从没有过。”
法希扬起头,好像要把这事实记在脑子里。他一言不发,死盯着眼前的铬钢门。
在上升过程中,兰登尽力把注意力集中到其它东西上,他不敢想他周围的四面墙。光洁的电梯门能照出人影,从反射的影像中,兰登看到局长的领带夹 —— 一个镶有十三颗黑色缟玛瑙的银质十字架。兰登感觉到有一些说不清道不明的惊奇。这种标志被称作宝石十字架 —— 带有十三颗宝石的十字架 —— 是基督教关于耶稣和他的十二个门徒的表意符号。这位法国警察局长这么公开地宣扬自己所信奉的宗教,倒有点出乎兰登的预料。而且,这是在法国,基督教并不是那么一个一生下来就得信奉的宗教。
“这是宝石十字架,”法希突然说。
兰登吓了一跳,抬头看了一眼,从反射中可以看到法希的眼睛正盯着他。
电梯一顿,停了下来。门开了。
兰登迅速走出电梯,走进厅廊。他渴望享受卢浮宫画廊高得出名的天花板下那宽敞的空间。然而,刚才他所步入的那个狭小空间可一点也不是他想要的那种。
兰登怔住了,突然停了下来。
法希扫了他一眼。“兰登先生,我想你从未在卢浮宫不开放的时候进来过。”
我想我是没来过。兰登心里想,尽量使自己不失态。
卢浮宫大画廊通常光线极充足,但今夜却是惊人的黑暗。今夜没有平常从上面倾泻而下的柔和的灯光,只有踢脚线处似乎有微微的红光发出,这一处,那一处,断断续续照在地板上。
兰登怔怔地望着阴森森的走廊,他意识到他本该预想到这种情形。几乎所有的主要画廊夜间都用这种耐用灯照明。这些灯放的位置很巧,都在低处,不刺眼,有利于工作人员夜间走过廊道,同时也使这些画作处于相对阴暗的地方,减缓因强光照射而褪色的速度。今夜,这地方简直使人压抑得透不气来,到外是长长的阴影,原来高高拱起的天花板今夜却像是一片低垂的空窟窿。
“这边走,”法希说。他向右急转身,走进一个段段相互联接的画廊。
兰登紧跟着,他的视力慢慢适应了黑暗。四周的巨幅油画变得清晰具体了,他们好像是在一个巨大的暗室里冲洗出的照片,展现在他面前……他在房间里走到哪里,他们的眼睛就跟到哪里。他能闻到博物馆里常有的干燥剂、除湿剂的刺鼻的气味。除湿剂带有些微的碳的气味。碳是一种工业用品,是一种过滤煤用的除湿装置,以消除游客呼出的二氧化碳所产生的腐蚀作用。高高安置在墙上的安全摄像机赫然可见,它向游客清楚地传达这样的信息:我们看着你呢,别动手触摸任何东西。
“有真的吗?”兰登边问边指向摄像机。
法希摇头说:“当然没有。”
兰登一点也不觉得奇怪。在这么大的美术馆实施录像监视,成本太高,很难做到,而且效果也不好。要监视这数公顷的画廊,单负责信息传输的技术人员,整个卢浮宫就得要好几百人。大多数大型的博物馆现在都使用一种叫“封闭保护”的防范措施。别想着不让贼进来,要让他们出不去。封闭装置在闭馆后启动。如果侵入者拿走一件艺术品,自动封闭的出口就会将画廊封死,即便在警察没赶来之前,贼就已被挡在栅栏里面出不去了。
声音在上面的大理石走廊内回响。嘈杂声好像是从右前方隐蔽处的小房间里传出来的。那里有一束亮光倾泻在走廊里。
“馆长办公室。”局长说。
和法希走近那个小室后,顺着一条又低又短的走廊望去,兰登能看到索尼埃豪华的书房 —— 暖色木材的家具,从前的大师们的画作,还有一个巨大的古色古香的写字台,写字台上立着个两英尺高的全身铠甲的武士模型。房间里几个警察正在忙忙碌着,其中一个坐在索尼埃的桌子前正往手提电脑里输入东西。显然,馆长的私人办公室已成了中央司法警察今晚的临时指挥部了。
“先生们,”法希用法语大声喊道。人们转向他。“不要以任何理由来打扰我们,听到了吗?”
办公室里的人都点头表示明白。
兰登在宾馆的门上曾多次挂过法语写的“请勿打扰”的牌子,所以刚才大致听懂局长“请勿打扰”之类的话。无论如何都不许打搅法希和兰登。
法希把一帮警察抛在身后,带着兰登沿着黑暗的走廊继续向前走。三十码开外的地方出现了通往卢浮宫大画廊的入口。大画廊是卢浮宫最受欢迎的地方 ——像个走不到头的长廊。长廊里藏有卢浮宫最有价值的意大利杰作。兰登发觉索尼埃的尸体卧躺之地正是此处。大画廊里的嵌木拼花地板明白无误地显现在宝丽莱快照里。
他们走近后,兰登看到入口被一个巨大的钢铁栅栏堵住了。钢栅栏看去像是中世纪城堡中人用来把强盗挡在外面的防御工具。
“封闭保护,”法希走近栅栏后说。
即使是在黑暗中,这道封锁线看上去也能抵挡住一辆坦克。到了外边,兰登透过钢栅栏往昏暗的,硕大的洞穴般的大画廊里探视。
“你先进,兰登先生,”法希说。
“我先进?进哪儿?”兰登转过身来。
法希指向钢栅栏基部的地板。
兰登低头望去。在黑暗中他什么也没有看到。封锁栅栏被抬起了两英尺,下面有个进出很不方便的间隙。
“卢浮宫的保安现在还不能进入这个区域,我手下的技术警察刚刚在这调查完毕。”法希说。“从底下爬进去。”
兰登盯着脚下窄窄的空隙,又抬眼看着那巨大的铁栅栏。他是开玩笑吧?那铁栅栏像个断头台一样,时刻等待着把入侵者压碎。
法希用法语咕哝了一句,又看了看表。然后他双膝跪下,挪动着肥胖的身子从栅栏下爬了进去,站起身,透过栅栏回望着兰登。
兰登叹了口气。他把手掌平放在光滑的嵌木拼花地板上,肚子趴上去,使劲往前挪。他爬到栅栏底下时,他的哈里斯花格尼上衣的背部被栅栏的底部挂刮开了,后脑勺碰到了铁栅栏上。
真够斯文的,罗伯特,他想。他伸手摸了摸,最后终于把自己挪进去了。兰登站起后便意识到这一夜可短不了。